
Il performance management non è un sistema, ma l’essenza di qualsiasi ruolo gestionale e a ben vedere anche di qualsiasi rapporto di agenzia nel quale una parte attribuisce un insieme di compiti e/o obiettivi ad un’altra e mantiene l’interesse a verificare il risultato. In questo senso, il performance management esiste da ben prima della struttura gerarchica che si è sviluppata sulla fondazione della scuola del management scientifico di inizio ‘900.
Nel tempo, tuttavia, la strutturazione gerarchica delle organizzazioni, unita alla complessità delle decisioni da prendere hanno trasformato questo processo per così dire naturale nello scheletro essenziale del rapporto tra strategie/ piani e azione. Un po’ come Il Burattinaio Mangiafuoco di Collodi cerca di controllare Pinocchio con un sistema di cavi, il management cerca di controllare l’organizzazione con il performance management che ne rappresenta idealmente il bastone e la carota. Il bastone è un po’ nella rimozione di conseguenze positive (ad esempio carriera o incentivi monetari) e più di recente nello stigma delle caselle a sinistra della classiche matrici 3X3 (performance X potenziale); la carota invece è rappresentata da incentivi espliciti come quelli appena indicati e anche dal desiderio di achievement delle persone, una spinta intrinseca a fare bene e nel tempo sempre meglio.